Una città "fantasma" ritrovata per caso dopo secoli: l'incredibile storia della città etrusca di Spina dalla fondazione alla sparizione ed al ritrovamento.
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Spina: l’Atlantide italiana.

by Donatella

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utensili

ceramiche

ipotetica ricostruzione di Spina

Spina: l’Atlantide riscoperta .

Spina: una città leggendaria di cui si esaltava la ricchezza, la floridezza e la potenza scomparsa  perché inghiottita dalle acque e riportata alla luce solamente  un secolo fa per caso.  Si diceva che fosse stata  fondata dai discendenti degli Argonauti-mitologico gruppo di 50 eroi che, sotto la guida di Giasone, diede vita ad una delle più note narrazioni della mitologia greca: l’avventuroso viaggio a bordo della nave Argo che condurrà l’equipaggio  nelle ostili terre della Colchide alla riconquista del vello d’oro.

Si parlava di un “tesoro di Spina a Delfi”, senza dimenticare che la mitologia greca  aveva ambientato proprio nelle acque dell’Adriatico di fronte all’antico porto la vicenda di Icaro e la caduta del carro del Sole guidato da Fetonte. Numerosi scrittori antichi e moderni hanno trattato della città scomparsa : Plinio il Vecchio, Dionigi di Alicarnasso, Giovanni Boccaccio solo per citarne alcuni.

Dionigi di Alicarnasso sosteneva che i primi abitanti di Spina fossero i Pelasgi : spinti fino alle foci del Po dalle burrasche vi avevano fondato la città  dove avevano lasciato una guarnigione; ma poi la avrebbero abbandonata a causa dei frequenti attacchi delle popolazioni vicine.

Il mistero  si è risolto  per caso nel 1922 in occasione della bonifica delle valli di Comacchio: nel corso dei lavori viene alla luce un sepolcreto di epoca etrusca. Gli scavi proseguono fino al 1935 per poi riprendere nel 1954 quando vengono individuate le prime delle quattromila sepolture ritrovate finora.

Una città ricchissima crocevia di traffici marittimi del Mediterraneo.

Molte delle merci importate attraverso Spina erano destinate alla città etrusca di Felsina ( antico nome di Bologna).

Fiorì a partire dal 540 a.C. come emporio che faceva da cerniera tra il mondo etrusco e quello greco grazie ai numerosi collegamenti marittimi con l’Ellade. La sua popolazione era prevalentemente etrusca ma c’era anche una significativa presenza greca. Tra i prodotti che venivano scambiati con le ceramiche attiche  figuravano i cereali, il vino e le carni di maiale salate ( i prosciutti emiliano-romagnoli testimoniati sin dall’epoca etrusca).

La sua fortuna comincia a decadere con l’arrivo della crescente influenza romana e dell’impero, sebbene già l’invasione celtica dell’Etruria padana fosse stata un colpo che però non aveva ridotto le dimensioni della città ma ne aveva limitato la possibilità di crescere. Ben presto i traffici si spostarono più a sud nella zona del ravennate area che sarebbe diventata centrale   sul finire dell’impero romano. Ravenna  fu infatti capitale dell’Impero Romano d’occidente (402-476) e Spina trovandosi continuamente in balia  delle modifiche del territorio costiero e vallivo venne infine sommersa.

Archeologia.

Gli archeologi hanno supposto che la città fosse strutturata con edifici regolari e con un reticolo di vie razionale. Gli spazi pubblici erano separati  da quelli privati mediante dei cippi di confine, le abitazioni erano costituite da capanne regolari realizzate con assi di legno, argille e piante palustri.

La maggioranza delle tombe prevedeva la sepoltura di un solo defunto che veniva inumato. I corredi funerari  erano composti da oggetti  di uso comune: vasellame da cucina e mensa, candelabri, balsamari, contenitori per unguenti, pigmenti, essenze e gioielli. Nelle sepolture erano presenti anche oggetti di carattere apotropaico e di aiuto nel passaggio al mondo dei morti: dadi, astragali e aes rude ( frammenti di bronzo con funzione di moneta). Le anfore ritrovate erano destinate a contenere vino  e quasi tutte erano di produzione attica.

Nel museo archeologico di Ferrara sono esposte anche due “imbarcazioni monossili” rinvenute nel 1940 durante gli scavi di un canale artificiale in valle Isola.  Il termine “monossile” indica una particolare tipologia di imbarcazione  ricavata da un unico tronco d’albero utilizzata a partire dal Neolitico al Medioevo  per navigare in acque basse e di limitata estensione: fiumi, laghi, canali, estuari e coste marine.

Solitamente venivano impiegati grandi alberi come la quercia e il castagno; il tronco veniva scortecciato, scavato e svuotato internamente con l’impiego di utensili in pietra , selce o metallo e per mezzo del fuoco per ottenere una forma e uno spessore consoni all’imbarcazione. Al termine “monossile” si è poi sostituito “piroga” che indica lo stesso tipo di natante.

Una città -mito che ci svela finalmente tutti i suoi tesori conservati nel corso dei secoli per il privilegio di poterli osservare da vicino.

 

 

DONATELLA  AREZZINI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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